Porta Felice
La nascita di Porta Felice risale al 6 luglio del 1582, ai tempi in cui il viceré spagnolo Marcantonio Colonna, duca di Tagliacozzo, decise di dare un monumentale ingresso al Cassaro (l’attuale Corso Vittorio Emanuele), che l’anno prima era stato prolungato fino al mare, raggiungendo così l’altra bellissima strada che costeggiava le mura e la spiaggia, quella che il senato palermitano chiamò “strada Colonna”, l’attuale Foro Italico.
Il nome “Felice” fu dato in onore della moglie del vicerè, donna Felice Orsini. Dell’episodio parlano Paruta e Palmerino che scrivono così di quel 6 luglio del 1582.
“L’eccellenza del sig. Marco Antonio Colonna viceré buttao la prima pietra alla Porta Felice, onde ci mese 8 medaglie d’argento dorate, una esso ed una il pretore, e sei li giurati, ognuno la sua. E si spararo molte artiglierie”.
Ma i lavori, per l’edificazione della Porta Felice andarono per le lunghe, iniziati nei primi mesi del 1584, furono bloccati alla partenza del viceré Colonna che avvenne nel Maggio dello stesso anno.
I successori non si curarono di continuare i lavori, tutto rimase fermo fino al 1602, fino a quando il viceré, il duca di Ferla, decise di continuare la costruzione della Porta, incaricando l’architetto del Senato Mariano Smiriglio.
Architettura
Ma l’opera venne realizzata solo parzialmente nel rispetto al progetto.
Questo prevedeva infatti che i piloni laterali venissero sormontati da elementi piramidali che non vennero poi realizzati.
Nel 1636, alla morte di Smiriglio, venne nominato architetto del progetto di Porta Felice, Pietro Novelli, che ne modificò ancora il progetto iniziale, specialmente nella parte superiore, che rimase aperta.
Nella direzione dell’opera subentrò anche Vincenzo Tedeschi, rivale del Novelli, che tentò di evidenziare alcuni errori tecnici, ma in realtà quasi nulla fu cambiato.
La costruzione di Porta Felice si concluse nel 1637. Le due fontane monumentali ai piedi dei piloni, invece, con alcuni elementi decorativi furono aggiunti nel 1642.
Grande protagonista della vita palermitana, Porta Felice vide passare, attraverso i suoi piloni, sovrani, viceré, nobiltà, processioni, il carro del Festino di Santa Rosalia e le carrozze con gli equipaggi per la celebre passeggiata alla Marina della Belle Epoque. Ma durante la seconda guerra mondiale, una bomba distrusse un pilone riducendolo in macerie.
Al termine della guerra, il pilone fu ricostruito, ma si persero molti elementi decorativi che lo componevano in origine.
In piena Belle Époque era luogo privilegiato degli incontri amorosi e mondani di nobili e ricchi borghesi, essendo ricco di esedre paesaggistiche, sbocchi a mare e teatri all’aperto. In particolare, proprio a ridosso del Foro Italico e di Porta Felice, prospiciente il mare, si erge la terrazza o “Mura delle Cattive”. La denominazione nacque dall’usanza delle nobili vedove palermitane, che conducevano nel periodo del lutto vita da recluse (dal latino “captivae”), di concedersi momenti di svago su quelle mura al riparo da occhi indiscreti.
ARCHITETTURA (wikipedia)
L’intervallo di tempo trascorso permise la differenziazione delle facciate dei piloni: così abbiamo il prospetto interno (affacciato sulla città) con caratteristiche più tendenti agli stilemi rinascimentali, mentre il secondo (successivo al primo, terminato dagli architetti Pietro Novelli, Smiriglio e Vincenzo Tedeschi, prospiciente al mare), realizzato con rivestimenti e sculture in marmo grigio dai caratteri e dalle connotazioni tipicamente barocchi.
I piloni rivestiti di marmi, decorati con colonne, balconi, logge, architravi, balaustre, capitelli, cornici, fasce, festoni, ghirlande, mascheroni, piedistalli, plinti, gradini, fregi, riccioli, volute e pigne sommitali, furono ulteriormente arricchiti sul prospetto alla Marina, da due fonti dal viceré di Sicilia Giovanni Alfonso Enriquez de Cabrera, conte di Modica e grande ammiraglio di Castiglia nel 1644. Due ulteriori vasconi sormontati da iscrizioni marmoree fanno ala nei contrafforti laterali.
Due nicchie delimitate da colonne e architravi, custodiscono altrettante statue canefore elevate su piedistalli e sormontate da epigrafi magnificanti Filippo IV di Spagna.
In corrispondenza delle balaustre delle terrazze, tra riccioli e volute di raccordo, si stagliano imperiose le aquile coronate che reggono le insegne reali e l’acronimo SPQP (Senatus PopulusQue Panormitanus). Ai lati sono insastonati i doppi scudi con le armi del viceré e della città. Sui contrafforti esterni delle logge sono collocate le statue raffiguranti Santa Ninfa e Santa Cristina.
Il prospetto interno affacciato su Piazza Santo Spirito, realizzato in conci intagliati, per mancanza di particolari scultorei e marmorei (ad eccezione del rivestimento alla base e della balaustra del terrazzo), presenta chiaramente la ripartizione su tre ordini. Al piano terra le porte d’accesso ai piloni. Nel secondo ordine un balcone e una finestra incorniciati da dettami in stile rinascimentale. Al terzo la balconata belvedere con contrafforte a ricciolo. I vani costituivano appartamenti ad uso dei pretori cittadini. Affreschi realizzati da Pietro Novelli decoravano le volte degli ambienti interni.
Il varco interno nella sua profondità non presenta alcun rilievo se non i cornicioni marcapiano fra il secondo e il terzo ordine sui quale si sviluppano i balconi con porte sormontate da timpani.
Il manufatto misurava 92 palmi d’altezza per 54 di larghezza, con un vano di passaggio largo 32 palmi.
Fino al terremoto di Pollina del 5 marzo 1823 sulla Piazza Santo Spirito prospettava la chiesa di San Nicolò alla Kalsa o «dei Latini». Le macerie ingombrarono la spianata per decenni. Abbattuti i ruderi, al suo posto fu riassemblata una scultura di Ignazio Marabitti: la Fontana del Cavallo Marino, manufatto proveniente dal giardino di palazzo Ajutamicristo.
In seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, il pilone destro venne quasi interamente distrutto, ma un attento restauro ha riportato la porta al suo antico splendore, seppur perdendo alcuni degli elementi decorativi originali.