Palazzo Reale
Palazzo dei Normanni
Ortofoto del palazzo Reale di Palermo.
Il palazzo Reale di Palermo, così come lo vediamo noi oggi, è in gran parte frutto degli interventi realizzati tra il XVI e il XVII secolo. Sorge nell’area corrispondente al primo nucleo urbano della città, la cosiddetta Paleapolis (VIII-VII sec. a.C.), una cittadella fortificata probabilmente utilizzata dai re normanni per costruire la loro reggia.
Molti studiosi infatti hanno avanzato l’ipotesi che la realizzazione della reggia normanna abbia utilizzato le preesistenze architettoniche di una fortificazione araba anche se non vi sono fonti storiografiche che confermano tale ipotesi; il mercante Ibn Hawqal, nei suoi diari di viaggio,
descrivendo la città di Palermo sotto il dominio arabo (X secolo), non fa riferimento a nessun complesso palatino nell’area del Qasr (Cassaro).
La prima testimonianza diretta sull’edificazione del complesso palatino è quella fornitaci dal geografo Edrisi, il quale riporta che «nella parte più elevata di questo Cassero, il ridottato re Ruggiero ha una cittadella nuova, fabbricata di pietruzze dure di mosaico e di grandi pietre da taglio, delineata con le regole dell’arte, munita d’alte torri, ben afforzata di vedette e di propugnacoli, [comoda] per palazzine e sale ben costruite, notevole per le decorazioni architettoniche pei mirabili e peregrini ornati di calligrafia e per le immagini eleganti d’ogni maniera che vi sono raccolte».
La presenza di torri, descritte da Edrisi, è confermata nella seconda metà del XII secolo da Ugo Falcando, il quale riporta che «dalla parte opposta [al Castello a mare] è costruito il “palatium Novum”, eretto con ben squadrate pietre, messe in opera con la maggiore diligenza e con somma maestria, e intorno circondato da grandi muraglie che ne seguivano minuziosamente il perimetro, e all’interno sfarzosamente splendente di oro e di gemme. Due torri lo terminano dall’una e dall’altra parte: la Pisana, destinata alla custodia dei tesori regali, e la Greca, che sovrasta quella parte di città chiamata Kemonia. Decora il luogo di mezzo quella parte del palazzo che ha nome di Joharia, di grande bellezza e risplendente per la varietà dei suoi ornamenti, dove il re solea convenire allorché desiderava indulgere all’ozio e alla quiete o riunirsi in modo più familiare. In tutto il resto del palazzo erano distribuite con ordine le stanze destinate alle matrone, alle fanciulle e agli eunuchi, impiegati al servizio del re e della regina. Parecchi altri edifici, per così dire piccoli palazzi, ricchi di splendidi ornamenti, erano ivi ancora, dove il re solea discutere segretamente con i suoi familiari degli affari di stato oppure convocare i maggiorenti per parlare dei pubblici e maggiori affari del regno».
Risulta oggi difficile percepire l’impianto medievale nell’attuale configurazione del palazzo, considerato che le descrizioni pervenuteci dagli intellettuali vissuti alla corte di Ruggero hanno alimentato il mito di una reggia con torri che spiccavano per l’elevata altezza insieme al volume prismatico della cappella Palatina.
L’unica torre a essere sopravvissuta quasi per intero agli interventi delle dominazioni successive è la torre Pisana, un impianto quadrangolare con ambienti disposti in maniera simmetrica, dove il secondo livello, che presenta il doppio involucro murario con deambulatorio, era destinato alla custodia dei tesori reali.
[fig. 2].
Estinte le dinastie normanna e sveva, dopo la morte di Federico II, e a seguito della restaurazione della monarchia aragonese alla fine del XIV secolo, il palazzo assume un ruolo di marginalità; i re e i viceré eleggono come propria sede il palazzo dei Chiaromonte a partire dal 1468 e, a partire dal 1517, il Castello a mare.
Agli inizi del Cinquecento, il palazzo Reale torna a essere sede di un’istituzione con l’insediamento del Tribunale del Santo Uffizio, che occuperà il palazzo fino al 1553, anno in cui il viceré Juan de Vega, decide di spostare la sede viceregia nel palazzo Reale, trasferendo al Castello a mare gli uffici dell’Inquisizione.
Inizia così una ricca stagione di interventi per la reggia palermitana, in cui il palazzo perderà parte del suo aspetto medievale per trasformarsi da
«castello a palagio7»: saranno realizzati i due grandi cortili, il cortile grande o Maqueda [fig. 3] e il cortile della Fontana [fig. 4]; lo scalone sul fianco ovest del cortile Maqueda; il corpo di fabbrica, ancora oggi esistente, fra la torre Pisana e la torre Greca, oggi in gran parte demolita; il salone del Parlamento,
Fig. 3. Il cortile Maqueda
Fig. 4. Il cortile della fontana
5 Sull’argomento si rimanda a M.R. NOBILE, L. SCIASCIA, Lo Steri di Palermo tra XIV e XVI secolo
Estinte le dinastie normanna e sveva, dopo la morte di Federico II, e a seguito della restaurazione della monarchia aragonese alla fine del XIV secolo, il palazzo assume un ruolo di marginalità; i re e i viceré eleggono come propria sede il palazzo dei Chiaromonte a partire dal 14685 e, a partire dal 1517, il Castello a mare6.
Agli inizi del Cinquecento, il palazzo Reale torna a essere sede di un’istituzione con l’insediamento del Tribunale del Santo Uffizio, che occuperà il palazzo fino al 1553, anno in cui il viceré Juan de Vega, decide di spostare la sede viceregia nel palazzo Reale, trasferendo al Castello a mare gli uffici dell’Inquisizione.
Inizia così una ricca stagione di interventi per la reggia palermitana, in cui il palazzo perderà parte del suo aspetto medievale per trasformarsi da
«castello a palagio7»: saranno realizzati i due grandi cortili, il cortile grande o Maqueda [fig. 3] e il cortile della Fontana [fig. 4]; lo scalone sul fianco ovest del cortile Maqueda; il corpo di fabbrica, ancora oggi esistente, fra la torre Pisana e la torre Greca, oggi in gran parte demolita; il salone del Parlamento,
Fig. 2. Il fronte orientale della torre Pisana sul piano del palazzo (oggi piazza del Parlamento).
Fig. 3. Il cortile Maqueda
Fig. 4. Il cortile della fontana
5 Sull’argomento si rimanda a M.R. NOBILE, L. SCIASCIA, Lo Steri di Palermo tra XIV e XVI secolo
Chiesa di San Giovanni Battista a Castellammare
1088, In epoca normanna è documentata la chiesa di Chiesa di San Giovanni Battista a Castellammare.
1178, Guglielmo II di Sicilia concede il tempio ai monaci dell’Ordine cistercense del monastero di Santo Spirito. Sull’esempio delle abbazie cistercensi, anche qui è fondato un ospedale.
1516, La chiesetta e l’ospedale di Castellamare seguono le sorti del monastero e ospedale di Santo Spirito aggregati all’Ospedale Grande e Nuovo. La fusione è decretata dall’imperatore Carlo V e riconosciuta con bolla pontificia di Papa Leone X.
1519, La comunità dei napoletani di stanza a Palermo costituisce la Confraternita di San Giovanni dei Napoletani all’interno del tempio.
1526, Nuovi disegni tattico militari decretano la demolizione della chiesa troppo a ridosso di Castellammare nel porto della Cala. La chiesa della Nazione Napoletana si trovava troppo vicino alle fortificazioni, per ordine di Carlo V fu demolita. Ai napoletani è concesso il luogo e la licenza di costruire il nuovo luogo di culto su terreni adiacenti alla chiesa di Santa Maria della Catena.
1580, Divenuta parrocchia col titolo di «San Sivestro».
Nel 1527 i Rettori della Confraternita di San Giovanni Battista la Nazione Napoletana, ottennero dalla Regia Gran Corte l’assegnazione di due magazzini presso il vecchio porto della Cala per costruirvi la loro nuova chiesa, demolita per ordine di Carlo V. La costruzione della chiesa di San Giovanni dei Napoletani fu completata nel 1617.
Chiesa della Madonna di Piedigrotta
Cinquecentesco luogo di culto documentato nel recinto del castello.
- 1590 – 1591, Immacolata Concezione, dipinto di Giuseppe d’Alvino, commissione del viceré di Sicilia Diego Enriquez Guzman, conte di Alba de Lista, scampato al crollo del pontile ligneo del porto, opera documentata.
Porta di Piedigrotta
Varco d’accesso documentato. La porta fu aperta nel 1585 per consentire ai devoti la venerazione dell’immagine di Maria Vergine sotto il titolo di Piedigrotta. Costruzione alta 14 palmi e altrettanto larga, demolita nel 1895.
Dal lato opposto verso settentrione la Porta San Giorgio, demolita nel .
Chiesa di San Silvestro e San Giovanni Battista
La chiesa parrocchiale del castello in epoca borbonica è dedicata a San Silvestro ed in seguito intitolata a San Giovanni Battista edificata sotto Alfonso V d’Aragona nel 1445, in seguito aggregata alla chiesa di San Giacomo la Marina dall’arcivescovo Cesare Marullo, fonti più antiche la documentano già dipendente alla giurisdizione parrocchiale. Il titolo parrocchiale di San Giacomo su tutti i luoghi di culto della Fortezza è mantenuto fino al 27 dicembre 1580. Approvazione reale di re Filippo II della chiesa di San Silvestro e San Giovanni Battista a parrocchia risale al 1582.
Il 29 agosto 1593 il tempio fu danneggiato dallo scoppio delle polveriere e immediatamente ricostruito, con una grande cappella nell’abside dedicata alla custodia e all’adorazione del Santissimo Sacramento, e coro fra tele raffiguranti San Michele Arcangelo e San Francesco.
Nel 1863 il titolo parrocchiale fu soppresso. La chiesa fu demolita insieme a gran parte del castello nel 1922.